Votes taken by principessa favilla

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    Sarah Aqua Nott
    studente ◊ serpeverde ◊ VII ◊ Il corvo nero
    Nero; nero e nient’altro sotto di lei ad attendere i suoi quarantacinque chili scarsi e martoriati, i suoi vestiti zuppi e il suo trucco colato. Quel manto di velluta l’attendeva, la lambiva in una maniera così dolce perché in quell’oscurità non ci sarebbe stato posto per nulla: niente penombra, niente ombre, niente incubi. Era il vuoto. Quell’abbraccio simboleggiava annullarsi. Una cosa che forse stava desiderando una volta di troppo. Per un momento ne fu davvero decisa, vide la sua vita, ogni istante, scorrerle davanti. Le si palesavano tutti i suoi fallimenti, le sue perdite, le sue colpe. Per un secondo non provò nulla. Fu un attimo che sfondò l’infinità, un attimo che aveva già vissuto più e più volte, quella sensazione di essere prossime alla pace che per una volta sembrava così reale. Era lì, con gli occhi chiusi, la mente alienata e una mano che già si allungava verso il vuoto nella speranza di afferrarlo e poi una voce la bloccò. «Ti serve una mano?» Una frase così stupida. Detta da una voce vuota e sconosciuta aveva rotto quella che reputava la perfezione del momento. L’impulso iniziale era quello di scacciarlo via e riacciuffare la magia di quell’istante che ormai era svanita, ma poi si girò. Abbandonò quel baratro in una maniera così meccanica e innaturale da riportala in sé. Guardò il ragazzo che aveva davanti, la bacchetta sguainata per fare luce, e si rese conto del punto in cui era arrivata. La disarmò. Sarah aveva provato diverse volte a porre fine a tutto, a quel carosello di eventi che pareva non avere fine. Era stata più di una volta trovata immersa i una vasca piena la cui acqua si era tramutata in colore rosso, con la testa abbandona all’indietro, i polsi massacrati lasciati andare a parere una lugubre bambola di porcellana. Aveva assaggiato il brivido di essere a un passo dal gettarsi nel vuoto, su un balcone, una terrazza, un quarto piano. La sensazione di essere completamente persa, quel delirio sordo che si avverte in prossimità di un overdose non le era nuovo. Eppure quella volta non era una di quelle, quella volta era diverso: lo avrebbe fatto davvero, e lo aveva campito solo nel momento in cui lui l’aveva strappata da quel suo strato di trance. Tutta una fortuita coincidenza. Se lui non fosse mai salito lassù? Mosso dall’insonnia, da un’assurda passione per gli astri o da una felpa abbandonata lì quella mattina? Il motivo non era importante, l’importante era che lui si era trovato lì, nel momento giusto con la persona giusta. O forse nel momento sbagliato con la persona più sbagliata di tutte. In ogni caso era lì, in quel momento.
    Avrebbe tanto voluta avere la forza di replicare in maniera aggressiva, guardarlo con la sua solita faccia scura, usare il tono duro e staccato, forse leggermente risentito per esprimere tutto il suo disprezzo e disappunto. Mandarlo via, dirgli che doveva lasciarla sola; ma soprattutto che non aveva bisogno d’aiuto. Non era così però, per quanto Sarah avrebbe voluto sostenerlo fermamente, e per quanto non facesse altro che ostentarlo in quella sua falsa sicurezza di ogni giorno, aveva decisamente bisogno di una mano. Perché era persa, persa più che mai, e non sapeva che fare perché i suoi demoni stavano più che mai prendendo il sopravvento, sempre più forti e incontrollabili. Non avrebbe lasciato però che nessuno l’avvicinasse ulteriormente: si era già fatta male fin troppa gente per causa sua. Si dava per vinta, spacciata, si crogiolava nel suo stesso delirio. Sì, aveva bisogno di essere salvata. Non voleva, non avrebbe mai voluto per questo doveva controllarsi sempre, e tenere tutto dentro fino ad implodere, mille e mille più volte. Quello che seguì fu tuttavia completamente diverso. Sarah guardò dritta negli occhi di quello sconosciuto senza vedere nient’altro di lui e pianse. Non era il suo solito pianto disperato, soffocante, fatto di singhiozzi. Era un lento scivolare di acqua salata sulle sue guance, fino alle sue labbra leggermente spalancate. Piangeva per le mille volte in cui ci aveva pensato, per le mille volte in cui era stata a un passo dal farlo, per tutte le volte in cui non c’era stato nessuno a salvarla. Piangeva per l’assurdità di quella paradossale circostanza, piangeva perché voleva avere la forza di stare da sola, e perché non voleva essere abbandonata. Piangeva e basta senza sapere che fare. Alla fine fu solo capace di abbassare lo sguardo. «Scusa..». Stava ancora piangendo, sempre così silente e incapace di dire realmente no a quella neppur concreta offerta. Provò soltanto a superarlo.
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    Anche noi, chiudo <3
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    aWX5VRZ
    alice hicks silente
    Immortale ◊ Vicecapo Ordine ◊ Docente DCAO
    Adesso vedi.
    Alice se ne rese subito conto, non appena le nuvole liquide a lei tanto familiari presero forma, animandosi in due piccole che di ciò che sarebbero diventati possedevano solo il triste velo calato sui loro occhi; capì che ciò che stava per conoscere era qualcosa che mai nessuno avrebbe dovuto profanare: non era qualcosa di segreto, era qualcosa di privato. Quello era il più intimo risvolto della memoria di Matt, la porta della sua anima. Alice avrebbe tanto voluto ritrarsi: non era il semplice ribrezzo che provava per quel liquido suo unico nutrimento; no, non c’era nulla in quel misto di senso di colpa e vergogna che provava nel accedere a qualcosa a cui non avrebbe dovuto mai. E poi non voleva, non voleva vederlo: non voleva vedere il volto di Tom, il vero Tom, con il volto vivace di una volta, il suo Tom che non c’era più e che ormai aveva imparato, non sarebbe tornato. Perché lo sapeva, lo sentiva, che lui sarebbe presto emerso dal mare dei ricordi del fratello.

    Per un attimo credetti che quel figurino esile fosse Tom, ma poi vidi il suo volto e in quegli occhi riconobbi quella punta di debolezza che avevo sempre scorto e mai compreso in quelli di Matt, assistetti a quella scena di scherno impotente: non potevo ne credere ne capire. Poi sentì una voce, lo sguardo di tutti, compreso il mio, fu attirato dalla fonte e per un istante credetti di sentire il mio cuore, ormai fermo da troppo tempo battere all’impazza. Aaron.. allungai istintivamente la mano verso la figura di quel bambino che così tanto richiamava il mio; ma non si trattava del mio piccolo, era Tom. Parevano identici, molto più di quanto non lo fossero i due gemelli, solo in una cosa, che se avessi potuto vedere molto prima avrebbe salvato molte vite, differivano: a quel giovane Tom mancava la fragilità che non avevo mai visto e compreso in mio figlio. Desiderai ritornare alla realtà ancora una volta ma mi costrinsi a non emergere. Assistetti ad altri scherni e ciò che Tom fece e a quel punto mi chiesi se non avessi capito in principio ogni cosa solo perché non avevo la volontà di farlo perché la natura di Tom in quel momento, era così chiara ai miei occhi. Si susseguirono altre scene proibite, vidi il rapporto, il legame tra Tom e Matt per la prima volta in vita mia. Matt non aveva sempre guardato il fratello con gli occhi rassegnati e distanti della notte in cui le mi aveva imposto il sigillo; una volta quegli stessi occhi che avevano visto morire secondo il loro volere il figlio di Tom, lo guardavano con una devozione esagerata, mista a fiducia e semplice e puro affetto. Sentimenti che erano cresciuti con lui e che non l’avevano abbandonato malgrado la distanza. Cos’era cambiato allora? Bè semplicemente Tom era cambiato: Matt aveva visto suo fratello completamente cambiato, il risultato di una mutazione che si era prodigata sotto i miei occhi. Non era pronto a capirlo e perciò decide di staccarsi da lui; vidi per la prima volta le motivazioni per le quali Matt aveva interrotto la corrispondenza con il fratello, cosa che lo aveva tanto fatto soffrire e esasperato. Fui costretta a vivere nuovamente un dramma che mi aveva logorato per anni, e con il quale convivevo ogni giorno solo con gli occhi nuovi di Matt: si sentiva in colpa, per non esserci stato, per non aver salvato quell’unica volta colui che per tanto tempo si era preso cura di lui. Conoscevo bene quel sentimento, perché tra tutti gli errori e pentimenti che ci scivolavano addosso, la consapevolezza di aver commesso l’unico sbaglio che ci aveva strappato via la persona che più amavamo. Una cosa che non ti lascia, ti logora. Avevamo preso strade diverse tuttavia, io avevo scelto di errare mille e mille più volte nel tentativo di riparare al mio iniziale sbaglio, avevo scelto la neutralità, avevo quasi scelto di non scegliere e in quel momento mi chiesi se quello che chiunque vedeva come il crudele delirio di un uomo che brama potere seguendo le orme del fratello, non fosse altro che il modo più giusto per fare ammenda: agire secondo ciò che lui desiderava. Potevo comprendere tutto: gli omicidi, le scelte, l’usarmi, ma quello comunque no: potevo prenderne atto, ma non capirlo. Lui aveva comunque ucciso mio figlio, nostro figlio. Mi chiesi però cosa ne pensasse Tom, perché infondo avevo vissuto la cosa solo dal mio unico punto di vista. Non si trattava di me però. Nemmeno di Matt, per quanto ancora una volta fossi simili e accumunati in tutto. E perfino non di Aaron. Si trattava solo di Tom, si era trattato sempre e solo di Tom.
    Riemersi.


    Quando Alice si ritrovò nuovamente davanti al Matt che, malgrado sembrasse una vita fa, pochi secondi prima l’aveva invitata a guardare si sentì svuotata. Lei, che nella vita aveva avuto poche e salde certezze ora se le vedeva sgretolare tutte davanti agli occhi: sì, perché eli sbagliava sempre ma aveva sempre creduto di stare ad onorare l’amore per Tom nel modo giusto. Aaron era il suo modo di farlo, ma forse il suo amore materno e il modo in cui Tom voleva realmente essere onorato erano qualcosa di distinto. Era terribile ammettere a sé stessa che il padre di suo figlio avrebbe preferito per lui la dannazione; ma doveva andare incontro alla realtà, a quello che Tom era. Perciò non sarebbe mai riuscita a perdonare Matt, e non avrebbe desistito del tentare di salvare Celeste, ma sicuramente ora, non l’avrebbe mai più giudicato. Perché forse Matt non provava nulla, né per lei, né per Celeste, né per chiunque altro; ma per Tom sì, ed era qualcosa di davvero profondo che lei aveva a malapena sfiorato e che, malgrado ciò, l’aveva sconvolta. Aveva iniziato a capirlo, finalmente, dopo anni e anni, e una volta iniziato solo quel piccolo assaggio non le bastava più, perciò non aggiunse nulla, si limitò ad avvicinare a lui il suo viso, che non sapeva essere rigato dalle lacrime. Le loro labbra si incontrarono: ma non c’era nulla di affettivo in tutto ciò, non c’era amore ne passione, era solo qualcosa che lei aveva sentito di voler fare e che inspiegabilmente la portò nuovamente dentro di lui.

    Non ricordavo neppure come fossi arrivata lì, davanti al cuore fermo e marcio di Matt, il cuore consumato e spento dalla maledizione che condividevano. Sembrava impenetrabile, soffocato da quello strato di malvagità, forse innaturale che l’aveva reso forte e visibilmente imperturbabile. Ma io lo sapevo, lo sapevo in quel momento, e forse non l’avrei saputo mai più, che tutta quella era solo apparenza, era un’armatura, come la più vile delle mie maschere che non solo lo proteggeva; ma lo imprigionava. Mi feci largo, dilaniando le fibre già morte che avvolgevano il vero cuore di Matt ed entrai. Nel profondo, nel suo cuore. Avevo lì, tutto ciò che lui provava, aveva provato, ma non lo violai, non mi permisi di avere accesso ai suoi sentimenti in quel modo, io mi limitai a giungere sul fondo freddo della gabbia. Chiusi semplicemente gli occhi e quando li riaprì ero lì: intorno il buio, vere sbarre di duro acciaio, e in fondo ad essa una palla di carne arrotolata su sé stessa. Era lì: indifeso, martoriato, ferito quel bambino dall’immane bellezza che aveva conosciuto nei ricordi di Matt. Era il piccolo Matt, incatenato al fondo della gabbia, che piangeva e tremava solo. –Chi sei..?- Mi chiese una voce debole. –Mi chiamo Alice, tu chi sei?- Glielo chiesi comunque, volevo sentirglielo dire. –Io sono Lui, avvicinati..- Mi pareva così debole e ad ogni passo che muovevo verso di lui mi appariva più malconcio e penoso. Mi accucciai al suo fianco e lui mi rivolse i suoi occhi tristi ancora una volta tanto famigliari. –Mi tiene prigioniero qui, Lui, da tanto tempo.. Non ce la faccio qui, ho sempre più freddo e non riesco più a lottare, è troppo forte.. mi sto spegnendo- Afferrai quel corpicino malconcio che tanto mi ricordava quello di mio figlio e mentre soffocavo i singhiozzi lo strinsi a me. Cercai di infondergli più calore e amore possibile. Non volevo che scomparisse.. –Non ti spegnerai shh, ci sono qui io, non ti lascerò, non vi lascerò- Lo rassicurai senza staccarmi da lui, e promisi quelle cose davvero decisa ad adempiere ad esse. Volevo salvare, non era giusto che quel bambino così piccolo ed indifeso soffrisse così. Sembrava così puro.. –Tu sei così gentile Alice, devi salvarmi, devi proteggerci, salvalo ti prego, salvami- Restammo così, a scambiarci preghiere e promesse, abbracci e calore, lacrime e sussurri per quella che poteva essere la durate di una vita. Poi lo sentì, sentì il cuore di Matt, la parte marcia di lui, strapparmi dalle braccia scarne del ragazzino, provai ad aggrapparmi ma fu come se la mia anima venisse scaraventata fuori dal cuori di Matt. –Tornerò, te lo prometto- Urlai mentre ritornavo alla realtà, mentre ritornavo da Matt.
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    Sarah Aqua Nott
    studente ◊ serpeverde ◊ VII ◊ Il corvo nero
    GfrGkGf
    Si dice che la notte porti consiglio. Bè anche se questo vecchio detto ha trovato verità nella maggior parte della persone per Sarah non è così, la notte per lei, è l’oblio. Chiunque la veda direbbe che lei è un animale notturno, fatta per muoversi nel buio, che le tenebre le donano e la rivendicano. Forse è vero. Lei veniva dalla notte, era stata plasmata dalle tenebre e la sua essenza era tale, eppure per lei la notte era l’inferno. Feste, alcool, sesso, droga: questo era ciò che apparentemente riempiva le notte insonni di Sarah. Lamette, bulimia e incubi erano ciò che realmente riempivano le dodici ore di buio che lei era costretta ad affrontare quotidianamente. Temeva la notte, perché con la sua venuta i suoi incubi si facevano più forti, reali, coloriti. Se di giorno erano sprazzi di illusioni che le facevano perdere il controllo per un paio di minuti al massimo, senza la protezione della luce del sole si facevano più forti e temibili: divenivano chiari e sembravano perforarle la mente, potevano scuotere il suo corpo, farlo tremare e sudare per ore intere mentre la sua mente veniva lentamente consumata dai suoi demoni. Per questo, per stare lontana da tutto questo doveva restare sveglia, sveglia e impegnata perché la solitudine e la lucidità mentale facevano galoppare il suo inconscio verso il baratro delle visioni. Era paradossale, ma altrettanto vero: più Sarah era ubriaca, sballata e confusa dalla folla e dalla musica più i suoi incubi non riuscivano a penetrare la sua barriera mentale. Per questo ricordava a stento l’ultima volta in cui aveva dormito per più di tre ore di fila, forse aveva sette anni, forse anche qualcosa di meno, perché parlare di nottate intere era inconcepibile. Pensare a dieci ore di sonno tranquillo e interrotto faceva anche pensare alla sua vita prima della scomparsa dei suoi, prima del pozzo, prima di Garrett; faceva pensare ad un’altra vita, ad un’altra Sarah. Una Sarah che si era persa, dentro quel fragile corpo con i suoi 47 chili scarsi e migliaia di problemi. L’altra Sarah, quella persa, tormentata, sbagliata, era quella che aveva preso il sopravvento con tutte le sue insicurezze a seguito ed era cresciuta alimentata da tutte le tragedie che la colpivano fino a schiacciare la piccola ed innocente parte di lei che una volta era stata felice, la parte che sapeva chi davvero fosse Sarah Aqua Nott. Capitava a volte, però, che quella piccola parte indifesa prendesse il sopravvento su tutto il resto e trascinava via il resto del suo corpo dalla folla, dalle feste, da tutto ciò che faceva estraniare l’Altra Sarah dal suo stesso corpo. A quel punto si doveva scappare, scappare nella penombra, nel silenzio, nella solitudine. A quel punto Sarah era ogni volta a un passo da ricordare chi fosse sé stessa, dal trovarsi, dal riscoprirsi, ma a quel punto, immancabilmente i suoi incubi rompevano l’argine e tornavano a farle visita più incasinati e terribili che mai. Come se temessero quel traguardo le sfinivano la mente e la lasciavano tremante in un angolo della stanza a piangere, era a quel punto che l’Altra Sarah ritornava, insicura e fragile come sempre. Allora si vedeva una ragazza piegata in due sulla tazza del cesso a vomitare ogni singolo grammo ingerito, nella speranza che svuotandosi di sostanza si sarebbe anche svuotata di problemi. Questa non era la soluzione, finiva solo con l’essere più piena e stordita e le strade potevano essere solo due: ricorrere a lamette da barba, forbici, cocci di vetro o qualsiasi altra cosa dotata di lama a portata di mano, o sprofondare in uno stato di incoscienza tanto più simile al come che allo svenimento che la trascinava in un limbo bianco per poche ore.
    Quella era una di quelle sere, sempre se le quattro del mattino si possono definire sera, in cui l’istinto chiamava, la chiamava a non sottrarsi alle tenebre e ad immergersi in esse completamente sola. Sarah avrebbe tanto voluto essere abbastanza forte e coraggiosa da impedire a sé stessa di attirarla in quella notte. Non temeva l’altra parte di sé, non temeva quella strana sensazione di essere un passo dal sentirsi nuovamente sé stessa, no, temeva loro però. I suoi immancabili compagni, alleati, nemici, sarebbero venuti a farle visita inesorabili anche quella notte. Ogni volta era sempre peggio, anche se Sarah ogni volta era convinta che peggio non potesse esserci. Eppure a volte è così difficile resistere a sé stessi. Aveva passato la nottata in camera sua. La sua stanza vuota, da quando Coraline se n’era andata, nel dormitorio dei Serpeverde nei sotterranei. Sarebbe dovuta apparire come una stanza lussuosa, come ogni altra nella scuola, confortevole e accogliente. Invece era tanto più simile a una prigione quanto a un nascondiglio di un folle. Immersa nel suo marasma di oggetti, fogli, ricordi. In tutta quella confusione aveva resistito, fino a quel momento, ai suoi demoni che l’attiravano fra la loro spire. Ora però lo sentiva, stava per cedere, al sonno, all’incoscienza, a loro. Perché davvero non ne poteva più, era al limite. A volte però la paura ti rende più forte di quanto non riesca la speranza. Con gli ultimi brandelli di autoconsapevolezza aveva avuto il coraggio di lasciare quel sudicio buco in cui viveva per caracollarsi nei corridoi bui della scuola senza meta. Le mancava l’aria. Si mise a correre, una corsa inutile e senza significato: non si può scappare da ciò che si ha già dentro, è come scappare da sé stessi, e scappare da sé stessi comporta la pazzia. Non seppe neppure come ci arrivò, ma si trovò arrampicata sul limite della torre di astronomia. Sotto il cielo stellato, lì in piedi, sul quella specie di effimero muretto rialzato a guardare di sotto. Riprese a respirare, lentamente il battito del suo cuore si fece più regolare e gli spasmi affannosi cessarono. Era quasi in pace. Ce l’aveva fatta, quella volta, li aveva scacciati. Ma sarebbero tornati, sì presto avrebbero bussato, o meglio, sfondato la porta della sua mente e l’avrebbero fatta contorcere con le loro immagini, le loro parole. Non aveva scampo alcuno: quella che le si prospettava davanti era una vita fatta di incubi che ogni giorno si sarebbero fatti più forti fino a prenderla completamente. Era certa, che prima o poi, non sarebbe più riuscita a riemergere. Fissò lo sguardo sul terreno scuro che l’aspettava di sotto. Quasi non distingueva il suolo ma sapeva che era lì, ad aspettarla ad accoglierla nel suo abbraccio. Poteva buttarsi, o stare lì seduta ad aspettare che il giorno si fosse alzato di fronte a lei. Se avesse scelto la seconda via si sarebbe rifugiata nella luce della sua vita sbagliata e avrebbe acquisito una flebile speranza fino alla sera successiva, poi tutto sarebbe ripreso, com’era destino che fosse e così sarebbe stato anche il giorno seguente, e quello dopo, e quello dopo ancora finché non avrebbe esalato il suo ultimo respiro. Farla finita sembrava la proposta più allettante: non avrebbe più provato nulla, niente più dolore, niente di niente; non temeva la morte perché con la morta avrebbe raggiunto nuovamente la sua famiglia, mamma, papà e Oliver. Ci aveva provato altre volte, era giunta al limite spesso in realtà, ma si era sempre fermata, ancorata alla vita da un unico pensiero: Garrett. Ora però una nuova idea le si era insinuata dentro: forse l’unico modo che aveva per proteggerlo era proprio quello di farla finita e di proteggerlo dal cielo o da qualsiasi altro posto in cui sarebbe andata, dove non sarebbe più stata la fragile Sarah preda delle tenebre perché i suoi demoni non sarebbero mai potuti venire con lei. Chiuse gli occhi e respirò lentamente e fece un passo verso la pace. Sopra di lei, il cielo, aveva iniziato a piovere.
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    Starring → Kaya Scodellario as Sarah Aqua Nottdresssheetlisten
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    Ma devo proprio? Pff accetto ed inserisco già.
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    Ti ano <3
    Puzzi *appolpa e fugge*
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    Sarah Aqua Nott
    studente ◊ serpeverde ◊ VII ◊ Il corvo nero
    Sarah in vita sua non aveva mai realmente messo un freno a sé stessa. Non l’aveva al Pozzo, l’orfanotrofio dove aveva trascorso, praticamente sola, la sua infanzia, l’orfanotrofio dove ubbidire non era semplicemente un modo per avere caramelle o elogi, ma una vera e propria esigenza per la sopravvivenza. Lei, però, non aveva lasciato che il buonsenso avesse la meglio sui suoi istinti naturali e aveva lasciato che le lacerassero l’anima dentro quell’inferno buio e senza fine pur di non stare alle regole. Questo sarebbe stato già di per sé un buon modo per iniziare il suo lento cammino verso la rovina e l’oblio, ma quando Sarah aveva raggiunto quel luogo qualcosa dentro di lei si era rotto, spezzato, assieme al filo che teneva in vita i suoi genitori; forse era anche per questo, non solo per natura, che nessuno sarebbe mai riuscito a domarla. Preferiva farsi tormentare da mille incubi nella cantina buia e puzzolente di quel posto, anche tutte le notti, piuttosto che cedere. A lungo andare non desiderava altro che fuggire da quel posto, voleva smettere, perché era convinta che facendo la brava e non finendo più in cantina gli incubi sarebbero scomparsi per sempre. Forse però la sua mente era stata torturata dai demoni del buio una volta di troppo e ormai era persa, anche alla luce del sole, anche in pieno giorno ogni suo tormento l’accompagnava, per questo aveva ripreso ad essere quello che era. Non aveva messo freno a sé stessa nemmeno per Jaimie, che ora le era tanto facile da disprezzare, che ora si sentiva quasi in obbligo ad odiare, forse per cancellare il senso di colpa di aver rovinato tutto che da sempre si portava dietro. Lei era sua amica, una delle poche amiche che poteva vantare, e sì, forse non l’avrebbe mai realmente accettata per quello che era; ma le avrebbe sempre voluto bene. Lei l’aveva tradita fornendo più a sé stessa che agli altri l’alibi dell’amore fantomatico per Rush che l’avrebbe mossa a tanto. Aveva sbagliato sapendo di sbagliare, non si era fermata, né la prima volta né quelle successive e se qualcosa, forse un rimorso di coscienza, non fosse mai esistito in lei sarebbe andata avanti anche per tutta la vita, fino al momento in cui sarebbe stato Rush stesso a staccarsi da lei. Ogni giorno sprecato, ogni notte passata insonne, ogni bottiglia di vodka buttata a terra vuota, ogni mozzicone lasciato al suo passaggio, ogni momento passato piegata in due sul cesso, ogni scopata, ogni singolo momento della sua vita era pieno di questo istinto, quasi animalesco, di dover essere sempre priva di limiti, di dover sempre fare la cosa sbagliata, per principio. La svuotava, questa sua disperata ricerca dell’eccesso, non faceva altro che disumanizzarla lasciando un corpo vuote e torturato infestato da incubi. Eppure non aveva il coraggio di fermarsi, non aveva il coraggio né l’intenzione di prendere la sua vita in mano e cercare di venire a capo una volta per tutte ai suoi mille problemi: non aveva mai provato a fuggire dai sogni che tanto temeva, lei si limitava a tentare vanamente di fuggire ed era come girare attorno a sé stessa e ai suoi problemi. Si trovava sempre allo stesso punto, immersa nella stessa merda. E ci sguazzava. Sfoggiando con una sorta di fierezza disprezzabile la sua tendenza a sabotare la propria vita come se non gliene conferisse alcun valore, anzi, in senso più esteso come se lei stessa non possedesse valori. Non era così. Quello era solo uno dei tanti lati di sé che Sarah aveva appositamente pensato e costruito per schermirsi da tutto il resto del mondo. A Sarah in realtà importava e come della vita, almeno non della sua, ma quella degli altri sì. No, non si può dire che dietro quella maschera di totale mancanza di rispetto ed egoismo si nascondesse la reginetta dell’altruismo. Più semplicemente a Sarah importava solo della vita di alcune persone, persone a cui teneva, e che nella maggior parte dei casi l’avevano già abbandonata. Che per volontà, chi per gli intrighi del fato. Ormai era rimasta sola, si sola, come ogni volta che si azzardava a donare la propria fiducia e ad affezionarsi a qualcuno questo le veniva portato brutalmente e irrecuperabilmente via. Non passava giorno in cui Sarah non si soffermasse a pensare a tutti coloro che aveva perso. Non passava giorno in cui il suo sguardo non avesse indugiato, anche solo per pochi secondi, su quell’album di fotografie che le era rimasto come straccio, quasi prova della vita felice che una volta era stata fortunata ad avere. Quello era solo uno dei tanti giorni, che Sarah aveva trascorso sfilando per la scuola per sei lunghe ore sfoggiando con naturalezza quella sua farsa. Quello era soltanto uno dei tanti giorni in cui sentiva più presente che mai la mancanza di tutti coloro che non c’erano più. Eppure non si era fermata, no, non aveva smesso di recitare finchè non era stata sicura di trovarsi sola, sola con i suoi pensieri, sola con i suoi ricordi. Era bello, per una volta, potersi perdere nei ricordi di propria spontanea volontà: l’orologio, l’unico ricordo di suo fratello che le era rimasto, stretto nella mano destra, appollaiata su di un sasso ai limiti del cortile di Hogwarts Sarah si crogiolava in quello che era stato e che mai sarebbe tornato. Senza limiti.
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    Edited by 'runaway - 8/1/2014, 20:25
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    October Felicity Granger
    Studentessa ◊ VI ◊ Grifondoro ◊ vergine
    Non era mai stata più certa di qualcosa come in quel momento: stava sognando. Ne era fermamente convinta che quelle scene sbiadite che le si affollavano nella mente fossero solo il frutto della sua fervida immaginazione.
    Nervosa. Si sentiva esattamente così, come non era mai stata in vita sua: nervosa. Non quel nervosismo adrenalinico che si impossessava di lei prima di ogni compito in classe, non era quel sudare freddo sgradevole che avvertiva tutte le volte che veniva rimproverata; era qualcosa di diverso. Era nervosa, era nervosa in un modo impaziente. Impaziente di iniziare, impaziente di finire. Poi tutto successe, finalmente iniziò e poi finì. Fu tutto diverso però da come se l’era aspettato. L’aveva fatto perché sapeva con certezza che quello era ciò che avrebbe dovuto fare: nulla di più, nulla di meno. Come togliere un dente del giudizio, pensava che sarebbe stato doloroso, ma voleva che fosse rapido. Doloroso lo fu, ma non nel senso in cui lei aveva previsto. Non era stata un lenta imbarazzante agonia, era stato tutto incredibilmente dolce e inspiegabilmente romantico. Si era lasciata trasportare e si era lasciata travolgere dalla passione, una passione che aveva giustificato a sé stessa con l’alibi della pozione. Già, la pozione: quel boccettino dall’aspetto invitante che Lui le aveva fatto recapitare munito di biglietto. Aveva ingerito quel liquido azzurro senza neppure saperlo e le era stato spiegato che se non fosse andata a letto con la persona che più odiava sarebbe stata travolta da passione e desiderio nei confronti di chiunque. L’aveva fatto: aveva regalato la sua verginità a colui che più detestava, perché le cose tornassero com’erano.
    “Che sogno assurdo..” Il primo pensiero offuscato che October, con ancora gli occhi socchiusi riuscì a produrre. Avrebbe tanto voluto stiracchiarsi, ma avvertiva qualcosa di insolitamente caldo, e insolitamente rigido sotto di lei che non sarebbe mai potuto essere il comodo materasso del suo letto a baldacchino. Questo pensiero e attraversò distrattamente la mente e con esso il suo corpo riprese lucidità. Spalancò gli occhi di scatto e non si sorprese neppure a trovare la pelle chiara e liscia di Malfoy sotto la sua a guardarla. Non era stato un sogno, un ricordo. Era incredula, e disorientata. Non perché, come sarebbe stato molto più logico e comprensibile, aveva appena perso la sua verginità; ma perché l’aveva fatto con Malfoy. Nessuna ragazza si sarebbe mai lamentata di una prima volta del genere, nessuna si sarebbe ami lamentata di una prima volta con lui; ma lei sì: non perché aspettasse il principe azzurro o fosse una particolarmente conservatrice. Semplicemente perché lei a queste cose non ci pensava, e perché non avrebbe mai pensato di poterlo fare con Christopher Malfoy in quel modo. Avevano passato sei lunghi anni a lanciarsi ben più che frecciatine: o meglio, lui tentava in ogni modo di punzecchiarla, infastidirla, metterla a disagio e lei rispondeva a tono il più delle volte. Poi c’era stata la pozione, e lei quasi si era sentita sollevata di doverlo fare con lui, perché sapeva che non avrebbe provato nulla e che se ne sarebbe dimenticata. Invece era stata una notte di dolcezza e passione. Certo, poteva dire che era stato l’effetto della pozione a muoverla in quel modo, ad accendere il fuoco della passione dentro di lei: ma allora perché esso non si era esaurito non appena l’atto era stato portato a compimento? Perché si erano addormentati abbracciati a godere del calore altrui? E soprattutto perché lui era stato così?
    «Credo di non essere stato chiaro. Tu devi essere cosciente, devi ricordarti di questo momento, e soprattutto devi ricordarti di cosa sta succedendo.» Ricordava alla perfezione queste parole, tutte le altre, e soprattutto la dolcezza con cui l’aveva trattata. Non era stato semplicemente carino, le aveva voluto regalare una notte indimenticabile. Non capiva, era confusa e non sapeva neppure cosa fare per liberarsi da quella situazione, perchè non avrebbe mai avuto il coraggio di parlargli dopo ciò che era successo, dopo che tutta la rabbia e l’odio si erano sciolti in quell’amplesso. Sarebbe voluta stare così per sempre: con il viso paonazzo a sprofondare nel petto di lui. Non poteva però: aveva erbologia quella mattina, non che la cosa la smuovesse più di tanto. Era così scossa che non le importava neppure di saltare le lezioni. Decise di farsi infine coraggio, alzò gli occhi su di lui e li trovò chiusi. Fu sollevata nel credere erroneamente che fosse ancora addormentato. Scivolò giù dal suo petto e si alzò per recuperare la sua biancheria. Voleva sgattaiolare fuori di lì ed eclissarsi per sempre lontano da tutto e tutti, e l’avrebbe fatto alla svelta se non fosse scivolata nei suoi stessi slip cadendo per il lungo sul pavimento completamente nuda. Si costrinse ad alzarsi il più veloce possibile e prima di osar posare lo sguardo su di lui agguantò una coperta con la quale coprirsi. Fece scivolare i suoi lapislazzuli blu sul suo viso, si costrinse a puntarli verso i suoi occhi perché non avrebbe avuto il coraggio di provare a spostarli altrove. «B-buongiorno..»
    her heart is the worst kind of weapon
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  9. .
    Bene, è sempre comodo avere un contatto skype/msn per parlare in maniera molto più comoda rispetto agli mp.

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    ♔ new hogwarts gdr ϟ every thing you know'll change soon

    tumblr_ms5tg8GvOC1qarxvjo3_500 Presto, tutto quello che credevate di sapere sul mondo magico sarà stravolto, stiamo per narrarvi la vera versione dei fatti.
    Ariana non era in realtà una Silente ma una babbana di cui Albus Silente si innamorò e con la quale concepì una bambina. Questa donna venne poi nascosta per anni a casa Silente perchè debole a causa della gravidanza e ma sopratutto perchè Albus si vergognava delle proprie azioni. La bambina crebbe lì, nascosta, come la madre, mentre il padre potè proseguire il suo tentativo di coronare il sogno di una vita fatta di successi inscenando perfino il funerale della presunta sorella. Alice, la figlia, quando venne il momento, giunse alla scuola sotto falsa identità: la figlia di un esploratore amico del preside. Ormai suo padre aveva ottenuto presso la scuola la cattedra di Trasfigurazioni così da poterle assicurare un posto e averla vicina. Venne smistata a Corvonero e visse per compiacere il padre in maniera ossessiva fin quando non conobbe Tom Riddle.
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    Dopo una vita di solitudine costui le si presentò come un isola di felicità in un mare di vuoto. Si innamorarono e fu un idillio felice fin quando questo non iniziò a trasformarsi in ciò che poi sarebbe diventato. Egli però l'amava e perciò trovò un incantesimo che le permettesse di vivere per sempre con lui, che le donasse l'immortalità a patto che questa sacrificasse ciò che aveva di più caro: sua madre. Da quel momento Alice non cresce più, e per lei i ricordi contenuti nel pensatoio nell'ufficio del preside a Hogwarts sono fonte di nutrimento. Era maledetta. Aveva rovinato la sua vita e quella dei pochi che amava per lui. Tom venne apparentemente sconfitto dal bambino chiamato Harry Potter. Per anni Alice fu costretta a nascondersi meditando la sua vendetta che si sarebbe compiuta sulla tomba del padre nel giorno in cui l’ormai divenuto Voldemort ci si sarebbe presentato per rivendicare la bacchetta di sambuco. Tuttavia quella notte, invece che combattere, venne concepito l'erede di Tom Riddle, Aaron. Tom tuttavia non voleva che questo nascesse, lo voleva uccidere perchè doveva essere lui l'unico sovrano del mondo magico e perché temeva, per lei; ma non potendolo fare senza farle del male doveva trovare un modo per bloccarlo definitamente all'interno del corpo di Alice: un sigillo. Qui si aggiunge un nuovo tassello fin ora a tutti sconosciuto: Matt Riddle, gemello del suddetto Tom, il quale ha vissuto gli anni della sua infanzia in Germania dopo il suicidio della madre. Costui condivide la stessa maledizione di Alice: a suo tempo aveva infatti sacrificato l’amata Sylvia. Matt impose un sigillo su Alice che le impedì di dare alla luce il bambino.
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    La guerra finì, Tom viene sconfitto e Alice fu costretta a ritornare nell'ombra fin quando anni e anni dopo non incontrò per caso Matt. Si era dedicata a una vita fatta di monotonia fino a quel momento ma rivedendolo non potè che far rivivere vecchi sentimenti. Vedeva in lui il gemello, perciò una notte di passione lì lego, e questa bastò per rompere il sigillo a causa della nuova vita che nasceva in lei: Celeste. Alice scappò, per salvare i suoi due figli da lui, ossessionato dal voler vendicare il fratello; per farlo fu costretta a separarli e affidò a Ted Lupin la piccola Celeste. Usò quel l’uomo per i suoi scopi personali: salvare sua figlia e ottenendo grazie a lui la cattedra di Difesa Contro Le Arti Oscure e un posto a capo dell'Ordine per controllare suo figlio il quale sembrò, malgrado il legame che lo legò inspiegabilmente al preside, aver seguito le orme del padre. Ad Alice non importava nulla del bene e del male, voleva solo salvare i suoi figli. Per questo, per non lasciare Celeste indifesa di fronte agli immensi poteri del fratello che sarebbe dovuto essere suo nemico le donò i poteri di Cosetta Corvonero. Accade l'inaspettato, i sue fratelli, inconsapevoli del loro legame di sangue concepirono un figlio. Celeste venne assorbita dalle tenebre a causa di suo padre. Il quale desiderava morbosamente sapere chi fosse suo figlio, ma Alice si rifiutò perciò escogitò uno stratagemma. Disse a Celeste di uccidere Aaron, e a Aaron di uccidere Celeste e chi avrà la supremazia sull'altro, poichè non si sarebbe lasciato piegare dall'amore come il fratello. Celeste ebbe la meglio e si rivelò l'erede di Matt il quale la pose a capo dei Cavalieri Dell'Ardemonio, la sua personale squadra di controllo all'interno della scuola, poichè i Mangiamorte gli erano in parte avversi dopo l'omicidio di Aaron. Alice in un primo tempo si lasciò sopraffare dal dolore e tuttavia si riprese decisa a salvare almeno sua figlia tentando di strapparla dalle tenebre uccidendo il potere che la lega ad esse. Un giorno Ted si recò infatti da lei a parlarle del nipote di Harry Potter, al quale, per mezzo della spada hanno risposto i poteri di Goddric Grifondoro. Questo era infatti l'unico in grado di contrastare sua figlia senza farle del male. Ricostituì così l’Ordine di Silente in quella Hogwarts che si era ormai trasformata in un campo di battaglia. Il disordine, il potere smosso da questo caos risvegliò antiche entità. I fondatori di Hogwarts si destarono decisi a riportare l’ordine sulla loro scuola, ad ogni costo.



    Edited by ells - 7/2/2014, 19:35
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